«C’è una ripresa ma debole, non un’accelerazione, viviamo in un mondo post recessione e io sono tra quelli che ritengono che l’ipotesi di stagnazione secolare non sia così peregrina»
Così Pier Carlo Padoan intervenuto al Seminario di previsione del Centro studi di Confindustria (da ilsole24ore.com).
Una frase che dovrebbe mettere i brividi a tutti coloro che l’hanno ascoltata, ma dato che siamo intenti a seguire le peripezie della Ministra di Letto M.E. Boschi & Family e altre facezie in pochi danno seguito alle parole del Ministro dell’Economia con la dovuta attenzione.
Ma perché dovrebbe mettere i brividi?
Perché stiamo vivendo un momento storico che ricorda terribilmente quello che portò alla Grande Crisi del ’29.
La gravità sta nel fatto che la Grande Stagnazione che caratterizzò il quarto di secolo dal 1873-96 preparò il terreno a ciò che sarebbe accaduto in seguito.
Il che significa che oggi non saremmo nell’occhio del ciclone della cosiddetta crisi iniziata, secondo la vulgata comune, nel 2008, ma staremmo attraversando da almeno trent’anni la fase preparatoria di qualcosa di ancor più devastante.
Se tutto ciò trovasse una conferma e dall’ipotesi non così peregrina si passasse alla nuda e cruda realtà dovremmo ragionare sulle possibili vie d’uscita che i manovratori troveranno.
E qui entrerebbero in gioco sia i piani di recupero come quello portato avanti negli USA da Roosevelt con il New Deal che il vero motore della ripresa economica degli anni ’50 rappresentato dalle due Guerre Mondiali.
Sarebbe interessante ricordare come Roosvelt, tra gli altri, mise in essere un provvedimento – Legge Glass-Steagall – che separò nettamente le banche commerciali dalle banche d’affari. Legge che resistette fino all’abrogazione del 12 Novembre 1999 (Governo Clinton con maggioranza repubblicana).
Ma il vero snodo verso i successivi anni di strabiliante corsa dell’economia fu proprio quello delle due Guerre. Guerre che portarono morte e distruzione lanciando i successivi piani di ricostruzione.
Ciò significa che ci dobbiamo preparare all’avvento di uno o più conflitti mondiali che ci accompagneranno a fasi alterne per i prossimi trenta-quarant’anni?
Potrebbe essere, anche se da quel fatidico 1945 non mi sembra che di guerre ne siano mancate, anzi, lo strumento bellico come vero motore dell’economia mondiale è stato usato e abusato.
Finché i manovratori non vedranno come ultima ratio la vera Guerra Globale con interessamento diretto della zona europea da buoni italioti potremo dormire sonni tranquilli.
Prendiamo l’esempio ultimo della diga di Mosul. 450 dei nostri militari andranno a difendere la diga sul fiume Tigri in Iraq dove lavorerà la ditta Trevi di Cesena che ha vinto l’appalto per la sistemazione dei danni provocati dai combattimenti tra Peshmerga curdi e jihadisti dopo che i primi hanno riconquistato la diga.
Un piccolo esempio di come la guerra possa mettere in moto l’economia. Una diga che senza la guerra avrebbe dato da lavorare per l’ordinaria manutenzione diventa un affare da miliardi di dollari a causa della guerra. E ora la Trevi di Cesena con un appalto da oltre 2 miliardi di dollari seguirà il processo di sistemazione dei danni e messa in sicurezza della diga.
Immaginiamo solo per un attimo cosa rappresenti nella mente dei manovratori la possibilità di una o più guerre mondiali ora che, a quanto pare, le guerre territoriali anche estese ad ampie aree non permettono più di dare ossigeno all’economia occidentale.
La questione è se vogliamo continuare così oppure crediamo che sia arrivato il momento di fermarsi e cambiare il verso della storia sfruttando altre vie per superare i problemi attuali.
Toccherebbe a noi.