Per coloro che si volessero fare qualche risata propongo l’articolo “presa per il c…” publbicato qualche giorno fa dal Washington Post.

Non saprei come altro definire un articolo nel quale ci spiegano, bontà loro, che stiamo evitando brillantemente la possibil crisi del gas grazie alla chiusura delle fabbriche. E sì, perché così facendo la domanda di gas crolla e noi abbiamo tutte le riserve che ci servono (per cosa non è dato sapere se la domanda crolla).

Simpatici questi nostri amici americani che sono riusciti a mettere in crisi il rapporto Europa-Russia, ci vendono il costosissimo gas GNL e ora, giustamente, ci, mi si perdoni il francesismo, perculano alla grande.

Ma come detto leggiamo l’articolo e proviamo a ridere per non piangere.

Quale crisi del gas? Il migliore amico dell’Europa è anche il suo peggior nemico
Dopo la stasi di agosto, il mercato europeo del gas naturale è tornato in vita. Il rischio di scioperi in Australia, il più grande produttore mondiale di gas naturale liquefatto (GNL), è stato sufficiente a far salire i prezzi del 50%. Nelle settimane che precedono l’inizio della stagione di riscaldamento, prevista per il 1° ottobre, l’aumento dei prezzi è certamente preoccupante. Tuttavia, non fatevi prendere dal panico ancora.
In primo luogo, il rischio era semplicemente questo: un rischio. Le trattative salariali stanno progredendo e probabilmente l’interruzione sarà evitata. Poiché il pericolo è diminuito, anche i prezzi sono diminuiti. Ma, cosa ancora più importante, l’Europa ha un alleato ancora più forte per tenere sotto controllo i prezzi del gas nei mesi più freddi: una domanda estremamente debole.
La crisi manifatturiera che affligge il continente – l’attività industriale in Germania si è contratta per 14 mesi consecutivi – è il miglior antidoto contro una stretta nella fornitura di gas. Con amici come questi, chi ha bisogno di nemici?
L’Europa sta sconfiggendo la crisi energetica grazie all’impatto che tale crisi ha avuto sul suo cuore industriale. In tutto il continente, molte aziende ad alta intensità energetica hanno chiuso o ridotto la produzione perché non sono state in grado di far fronte all’aumento dei prezzi dell’energia. Particolarmente colpite sono le industrie dei fertilizzanti, chimica, metallurgica, del vetro, della carta e della ceramica. Tutte quelle fabbriche chiuse non hanno bisogno di gas o elettricità adesso.
In Germania, secondo i dati ufficiali, l’attività delle aziende ad alta intensità energetica è crollata a giugno di quasi il 18% rispetto alla fine del 2020. Nello stesso mese, anche la domanda di gas industriale è diminuita del 18% rispetto a un anno fa. A luglio, la domanda di gas ha registrato un crollo ancora più profondo, crollando del 22,9% rispetto all’anno precedente, il calo più grande finora nel 2023. Quando tra poche settimane verranno pubblicati i dati ufficiali sulla produzione industriale per luglio, quel calo del fabbisogno energetico indica un ulteriore deterioramento dell’attività industriale.
Il quadro è simile in tutto il resto del continente. È vero, parte del calo del consumo di gas industriale risponde a misure di efficienza energetica piuttosto che alla distruzione della domanda. Ma parte della riduzione è dovuta anche al passaggio a combustibili più inquinanti come petrolio e carbone. Anche quest’estate la domanda di gas nel settore elettrico è stata debole, poiché il clima fresco e ventilato nella maggior parte dell’Europa nordoccidentale ha ridotto la necessità di aria condizionata, mentre allo stesso tempo la produzione eolica è stata forte.
A causa dell’attività manifatturiera anemica e del consumo di gas inferiore alle attese nel settore elettrico, Morgan Stanley stima che la domanda totale di gas in Europa sia inferiore di circa il 15% alla media quinquennale, anche se corretta dall’impatto del clima. Con un consumo basso e un’offerta di GNL finora abbondante, l’Europa è stata in grado di iniettare una quantità record di gas negli stoccaggi sotterranei durante la primavera e l’estate, nonostante la maggior parte dei paesi della regione non abbiano più accesso alla fornitura di gas tramite gasdotti russi.
Le scorte di gas europee sono piene quasi al 92%, un livello record per questo periodo dell’anno. Se l’attuale ritmo di iniezione continua, le scorte raggiungerebbero il 100% entro metà settembre. Quindi, anche se gli scioperi del GNL australiano andassero avanti, è probabile che l’Europa raggiunga le cisterne entro la fine di ottobre o l’inizio di novembre, rispetto a una media 2010-2019 del 91% per quel periodo dell’anno. Il buffer aggiuntivo dovrebbe calmare il mercato.
Eppure sarebbe di scarso conforto per gli industriali del continente. Attualmente, i prezzi europei del gas sono pari a circa 35 euro (38 dollari) per megawattora, rispetto alla media del periodo 2010-2020 di poco più di 20 euro. I prezzi all’ingrosso dell’elettricità superano i 140 euro per megawattora, più del triplo della media 2010-2020 di 38,5 euro.
Il problema per l’industria non è solo che i prezzi attuali sono molto più alti rispetto a prima che la Russia invadesse l’Ucraina. Il vero problema è che le aziende sanno che qualsiasi problema di approvvigionamento, reale o percepito, innescherebbe un rally dei prezzi, perché anche con le scorte quasi piene, l’Europa ha bisogno di tutto il gas possibile per superare l’inverno. Il settore manifatturiero rimane il segmento di consumo di riferimento per trovare ulteriore distruzione della domanda. Ecco perché così tanti amministratori delegati sono riluttanti a ripristinare la capacità produttiva, temendo di riattivare un impianto solo per ritrovarsi nuovamente sorpresi dai prezzi più alti.
L’equilibrio tra domanda e offerta di gas in Europa rimane precario. Solo una domanda industriale estremamente debole riequilibra il sistema. Le abbondanti scorte aiutano, ma anche con quelle, l’Europa non riuscirebbe a superare l’inverno se tutta la domanda di gas industriale tornasse ai livelli pre-crisi. Pertanto, il prezzo da pagare per evitare la crisi energetica è una profonda recessione nel settore manifatturiero e una perdita a lungo termine della crescita economica. Un’analisi pubblicata il mese scorso dal Fondo monetario internazionale afferma che la Germania probabilmente perderà poco più dell’1% della produzione potenziale.
I prezzi elevati risolvono i prezzi elevati. Ma c’è sempre un costo.

(Articolo originale: https://www.washingtonpost.com/business/energy/2023/08/29/europe-s-manufacturing-crisis-protects-against-gas-supply-crunch/6f961ffe-4623-11ee-b76b-0b6e5e92090d_story.html)

Già in avvio c’è da ridere quando ci dicono che i prezzi saliranno proprio in concomitanza con l’avvio della stagione più fredda – a meno che la irrorazioni non mantengano il clima più temperato – e però noi non dobbiamo mica preoccuparci. Tanto le bollette non le paga l’autore dell’articolo.

Poi si attacca con la Germania al palo da 14 mesi consecutivi che, basta cambiare punto di osservazione, sarebbe un toccasana.

Il nostro eroe poi ci ricorda che parte della domanda in realtà è stata coperta da un maggior consumo di petrolio e carbone. Quindi non siamo nemmeno riusciti a far felice la Gretina e i suoi amichetti del cuore.

La constatazione del fatto che in questo momento il gas in Europa viaggia sui 35 megawattora contro i 20 euro medi del periodo 2010-2020 non ci deve far incazzare. Ce lo meritiamo ed è giusto che questo tizio del Post continui a percularci a oltranza.

Attenzione poi a quel “qualsiasi problema di approvvigionamento, reale o percepito, innescherebbe un rally dei prezzi“. Perché l’Europa rischia anche con le scorte al 100%. Ci siamo messi nella pegiore delle situazioni grazie alla imbecillità congenita delle nostre classi dirigenti corrotte e ribadisco che è anche giusto che questi qui ci prendano in giro.

Chiudiamo in bellezza. Vi piace se ve lo dicono così: “Il prezzo da pagare per evitare la crisi energetica è una profonda recessione nel settore manifatturiero e una perdita a lungo termine della crescita economica“?

Europa zimbello del mondo.

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