Rassegna di news dalla Tanzania alle monete digitali centralizzate, da Brexit a Twitter.

Partiamo dalla Tanzania che riconferma il “cattivissimo” (almeno secondo i media occidentali) Magufuli alla presidenza.

Magufuli, lo ricordiamo, è quel Presidente che ha messo alla berlina la macchinazione dei test molecolari – quelli che per OMS e governo italiano sono il Gold Standard per individuare i contagiati (positivi) – fornendo ai laboratori campioni prelevati da capre, olio motore e papaya (https://www.youtube.com/watch?v=s4p8DM8rKJI&t=1s).

Nell’articolo pubblicato da Comedonchisciotte leggiamo la testimonianza di persona che frequenta il Paese (https://comedonchisciotte.org/tanzania-covid-free-occorre-che-niente-cambi-perche-tutto-resti-cambiato/) e ricorda come l’Occidente non ami granché quest’uomo che ha, per ora, tenuto fuori dal circo della pandemia mediatica il suo popolo.

Interessante l’analisi di Stefan Gleason su activistpost.com dell’avvento delle monete digitali centralizzate ormai alle porte (https://www.activistpost.com/2020/10/a-new-world-monetary-order-is-coming.html).

Il punto clou è nella domanda se e come l’oro possa essere l’ultimo ostacolo alla realizzazione del progetto. Già ora la FIAT money è di fatto sganciata dall’oro, ma questo non ha scalfito la posizione dominante dello stesso come bene rifugio. Con la digitalizzazione totale delle monete lo scenario potrebbe cambiare e portare alla rivoluzione della piramide di Exter. Curiosità non solo tecnica perché potremmo essere alla vigilia di una rivoluzione copernicana della finanza mondiale.

Andiamo su Les Echos (https://www.lesechos.fr/monde/europe/brexit-lespoir-dun-accord-renait-a-laube-dune-semaine-decisive-1260811) per parlare di Brexit.

Non c’è che dire. Ai francesi Brexit sta molto a cuore, ben più di noi e forse anche dei tedeschi, almeno a vedere dall’attenzione quotidiana dedicata dai giornali d’oltralpe all’argomento.

Nell’articolo segnalo un punto su tutti, quello che vede la Camera dei Lord apparentemente intenzionata a mettere alle strette il Primo Ministro Boris Johnson.

Il 9 novembre potrebbe essere la più che prossima scadenza di un ultimatum dato dalla definizione della legge sul mercato interno britannico. Elemento che si lega agli accordi, al momento non ancora raggiunti, con l’UE per la partecipazione della Gran Bretagna al mercato unico europeo.

A breve sapremo, ma nel frattempo mi domando se non si possa profilare il più classico degli scenari da “fratelli coltelli” dal momento che a guidare l’iniziativa c’è Michael Howard, ex leader del partito conservatore.

Abbiamo visto in questi giorni come si sia consumata la dipartita politica di Jeremy Corbin grazie alle ridicole accuse di antisemitismo da parte del suo stesso partito laburista, e non possiamo certo dimenticare che sia Cameron che May sono stati defenestrati solo quando i loro accoliti di partito hanno deciso che per loro essi erano giunti al capolinea.

Dal Guardian (https://www.theguardian.com/technology/2020/oct/30/twitter-new-york-post-freeze-policy-reversal) leggiamo della notizia, mi pare passata un po’ inosservata dalle nostre parti o comunque poco reclamizzata, dell’audizione di Jack Dorsey, CEO di Twitter, presso il Senato degli USA.

Tema di discussione il blocco dell’account del New York Post a seguito della pubblicazione di tweet che rimandavano ad articoli sul figlio di Joe Biden, Hunter.

Per Twitter si trattava di articoli controversi e privi di fondamento, così ha affermato Dorsey parandosi dietro le policy del social network.

Incalzato dal senatore Ted Cruz – che a me personalmente (a pelle) sta non poco sulla balle, ma tant’è! – Dorsey ha rintuzzato continuando a ripetere che per loro il materiale non era pubblicabile.

Chiaro che, in mancanza di una vera infrazione da parte del Post delle regole interne alla community, la decisione di bloccare l’account del giornale sia apparsa come una chiara operazione di censura.

Twitter, come Youtube, Facebook e altri, non può certo ergersi a censore di contenuti giornalistici. Altrimenti passeremmo da un fornitore di spazio a un vero e proprio editore, cosa che Twitter dice di non essere.

Risultato?

Dopo la lavata di capo il Post ha potuto riavere il suo account attivo.

Succede anche questo, e molto di più, a pochi giorni dal voto negli USA.

Consiglio la visione del video-cazziatone di Cruz a Dorsey. Si sorride.

Non dimentichiamo che nella “puritana” America del Nord certe cose non passano inosservate e negli ultimi giorni i Biden si sono visti riversare sul reale capoccione una valanga di me… Chissà cosa verrà fuori dalle urne?

E oggi (ci tengo a terminare così), finalmente non abbiamo niente su… sapete voi cosa.

Per una volta l’abbiamo scampata.

Tanto prima o poi toccherà parlarne di nuovo.

Abbiamo tempo fino alla fine del 2021.

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