Per quel discorso che definisce la buona informazione da quella cattiva, parziale, distratta o imprecisa dei media mainstream.
Oggi i TG parlano del Financial Stability Review (https://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/fsr/ecb.fsr201811.en.pdf?58b6acc46a5d2f8bc96c93d8975a7c3b), il documento appena sfornato dalla BCE.
Come loro buona consuetudine incentrano il discorso su tutto il male possibile ed immaginabile per l’Italia “dimenticando” che in quelle 168 pagine c’è molto altro, una questione in particolare di cui parleremo dopo una breve precisazione.
I TG ricordano che la BCE conferma (pagina 6) l’Italia come Calimero del giorno, o degli ultimi 6 mesi se preferite.
Tutto corretto, qui non si vuole nascondere il fatto che siamo in conflitto/difficoltà con il “market sentiment“.
Si vede bene anche dal grafico che riporto qui sotto.
Si nota che siamo in testa, e non è bello, alla classifica del “Cambiamento nei rendimenti dei titoli sovrani decennali nei paesi dell’area dell’euro“.
In pratica sono i punti di differenziale in aumento, per noi, nel rapporto tra i titoli di stato. Il nostro amico spread.
Detto questo, e anche che la BCE tranquillizza la zona euro sostenendo che gli altri non sono stati contagiati dalla volatilità italiana (“Sovereign bond spreads have risen in Italy, but remain contained for other euro area sovereigns” – pagina 42) – ergo, la Commissione può proseguire sulla strada della procedura di infrazione? – preferisco porre l’attenzione su ciò che si legge a partire da pagina 90.
Ripeto, non si vuole svicolare verso altri lidi.
I nostri problemi restano sul tavolo, ma in questa parte del documento il focus è su una questione fondamentale di cui si parla poco o nulla.
Una evidenza che fa capire dove stia la vera bolla pronta ad esplodere (magari in coincidenza con la fine del Q.E.).
Si tratta della graduale crescita del comparto finanziario della zona euro su per giù nell’ultimo ventennio.
Nella tabella BCE (pagina 91) che riporto qui sotto si vede la ripresa post 2008 (punto più basso a dicembre con 23 trilioni di euro). Recuperati 20 trilioni, oggi siamo attorno ai 43 trilioni.
Se l’economia reale fatica a tornare sui livelli pre-crisi il settore finanziario se la passa decisamente meglio e ha superato i valori del 2006 almeno da 6 anni.
Curioso eh! L’economia reale annaspa da un decennio nonostante l’inondazione di liquidità della BCE e il settore finanziario sta volando come se vivesse su un Pianeta a parte. Ed è proprio così.
Mentre leggevo questi dati ho ricordato di aver visto una tabella di cui riporto una versione online qui sotto (http://www.goldtelegraph.com/asset-inflation-destroying-purchasing-power).
L’elaborazione è della Thomson Financial Reuters. A destra c’è l’inflazione degli asset finanziari. Lo S&P 500 è passato dal 1995 ad oggi da 470 punti a 2.700 (+ 474%).
Ora, se andiamo a prendere il dato dell’inflazione al consumo (https://data.oecd.org/price/inflation-cpi.htm) vediamo come i massimi di qualche anno di poco superiori al 10% sono ormai un ricordo. L’inflazione si attesta stabilmente poco sotto il 2%.
Ripetiamo: + 474% contro + 2%.
Ma l’inflazione addirittura a 3 cifre non doveva essere un problema?
Qui sotto riporto anche il grafico presente sul sito della BCE (https://www.ecb.europa.eu/mopo/html/index.en.html).
Mettendo insieme questi dati si evince dove sono andati, e stanno andando, tutti i soldi che le banche centrali, BCE compresa (per vedere la liquidità immessa nel sistema dalla BCE: https://www.ecb.europa.eu/pub/annual/balance/html/index.en.html), immettono nel sistema.
Sempre che la legge macroeconomica “più liquidità = aumento inflazione” sia ritenuta ancora valida in linea di massima.
Questo dimostra che l’economia di oggi è quasi esclusivamente finanziaria e si regge sul continuo aumento del volume di transazioni finanziarie.
Più transazioni, aumento del valore dei titoli, di qualsiasi genere e livello.
Questa bolla, come già accaduto più volte in passato, può esplodere da un momento all’altro.
Per sanare le perdite dell’economia finanziaria andiamo incontro ad una nuova pesante recessione dell’economia reale.
Faccio notare che parliamo di una questione fondamentale che non può essere presa alla leggera.
Articoli (https://www.pragcap.com/difference-asset-price-inflation-consumer-price-inflation/) di un certo tenore sono deleteri perché ridicolizzano il problema. E non a caso figurano al top nei motori di ricerca.
A parte la pochezza dell’esempio dell’acquisto di un bicchier d’acqua che si esaurirebbe nel momento in cui bevo l’acqua.
Poco importa che i soldi che ho usato passino poi di mano generando un numero di transazioni indefinito che, in economia reale, si chiama moltiplicatore del PIL.
Ma credo che chi scrive su Pragmatic Capitalism non abbia la benché minima cognizione di cosa sia l’economia reale perché da quelle parti vige il dogma “fare soldi coi soldi“.
Si fa quindi un parallelo tra l’acquisto di beni al dettaglio e quello di stock finanziari.
L’inflazione degli asset finanziari sarebbe buona perché, e cito alla lettera, “Purchasing the stock is different. When I buy a $1 stock I exchange cash for the stock. If the stock goes up in value I am better off than I was before. In other words, I can buy more water because the stock went up in value and the seller has my $1. This is an increase in aggregate standards of living.” (“L’acquisto di stock è diverso. Quando acquisto un titolo da $ 1, cambio denaro per lo stock. Se il titolo sale di valore, sto meglio di prima. In altre parole, posso comprare più acqua perché il titolo è aumentato di valore e il venditore ha il mio dollaro. Questo è un aumento degli standard di vita aggregati.“).
E se il valore del titolo diminuisce? Beh! Questo non è contemplato.
Somiglia tanto alla bolla dei mutui subprime.
Non hai soldi? Noi il mutuo te lo facciamo lo stesso, tanto i prezzi delle case crescono all’infinito e tu tra un paio d’anni rivendi, ci guadagni qualcosina e ci restituisci tutto.
Sappiamo come è andata a finire.
Questi sono discorsi alla “The Wolf of Wall Street“, sempre in positivo e mai con l’occhio al possibile lato oscuro dell’investimento per un motivo molto semplice.
Lor signori sanno che i dividendi sono per chi investe, mentre le perdite sono per la collettività. Crisi del 2008 docet.
Ma di questo non sentirete una parola dai TG.