La visita di Banjamin Netanyahu negli USA ha lasciato al sensazione che qualcosa sia andato diversamente da quel che si aspettava il macellaio sionista.
Donald Trump ha sì aggiustato la sedia a Netanyahu in una posa quasi da paggetto, ma poi lo ha messo in difficoltà con l’uscita sui colloqui con l’Iran per risolvere la questione nucleare civile/militare. Problema che peraltro sembra essere di carta poiché nel parlamento iraniano è stato ricordato che il paese è obbligato a non realizzare armi atomiche essendo in vigore una fatwa in tal senso. Sappiamo quanto siano vincolanti le fatwe per gli iraniani. E allora vien da chiedersi perché si continui a parlare del nulla.
In ogni caso pare che sia stato dato uno stop alle velleità israeliane di attaccare l’Iran, senza dimenticare però che il genocidio dei palestinesi prosegue e Trump ha ribadito che Gaza sarebbe una ottima opportunità immobiliare per una gestione USA.
Condivido la traduzione di un articolo apparso sul Tehran Times (https://www.tehrantimes.com/news/511589/How-Trump-undercut-Netanyahu-in-one-visit) nel quale si parla proprio dell’incontro di Washington.
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Come Trump ha indebolito Netanyahu in una sola visita
Tuttavia, come rivelano i resoconti dei media occidentali e israeliani, la visita si è conclusa bruscamente e senza progressi sostanziali, lasciando molti osservatori a interrogarsi sul suo scopo e sulla sua efficacia.
I media occidentali, tra cui il New York Times e il Washington Post, hanno descritto la visita come un test per l’alleanza Trump-Netanyahu. Alcuni articoli suggerivano che la politica tariffaria di Trump e l’approccio non interventista della sua amministrazione nei confronti delle operazioni militari israeliane a Gaza avrebbero potuto rafforzare o indebolire questo rapporto. I media israeliani, nel frattempo, hanno sottolineato le motivazioni politiche interne di Netanyahu, osservando che un viaggio di successo avrebbe potuto rafforzare la sua immagine in patria, dove si trova ad affrontare crescenti critiche per la sua gestione del conflitto di Gaza e accuse di corruzione.
Una serie di occasioni mancate
I primi resoconti dei media israeliani e statunitensi suggerivano ottimismo, con Netanyahu che esprimeva la speranza che il “legame speciale” tra Stati Uniti e Israele avrebbe facilitato i progressi sulla questione dei dazi e degli ostaggi.
Tuttavia, l’esito è stato tutt’altro che trionfale. Secondo post pubblicati su X e resoconti dell’Autorità per la Radiodiffusione Israeliana, la visita si è conclusa “bruscamente e in modo alquanto sospetto”, senza che siano stati raggiunti accordi concreti. I media occidentali, come NPR e Fox News, hanno osservato che Trump non si è impegnato a ridurre i dazi, concentrandosi invece su questioni geopolitiche più ampie come il programma nucleare iraniano e le campagne militari statunitensi contro Ansarullah in Yemen. I media israeliani, tra cui il Times of Israel, hanno descritto la mancanza di progressi come una “delusione”, con alcuni commentatori che hanno suggerito che Netanyahu avesse sopravvalutato la propria influenza su Trump.
Durante l’incontro nello Studio Ovale, entrambi i leader hanno parlato con i giornalisti, ma i loro scambi hanno rivelato pochi risultati concreti. Netanyahu ha ribadito l’impegno di Israele a eliminare Hamas e a ottenere il rilascio degli ostaggi, mentre Trump ha accennato a potenziali colloqui diretti con l’Iran, ma non ha offerto garanzie sui dazi. Una conferenza stampa congiunta, attesa da molti, non si è mai materializzata, alimentando ulteriormente le speculazioni secondo cui l’incontro sarebbe stato interrotto a causa di disaccordi o mancanza di progressi.
Opinioni dei media occidentali e israeliani: frustrazione e ricadute politiche
I media occidentali si sono affrettati a evidenziare le carenze della visita, definendola un’occasione persa per entrambi i leader. Il New York Times ha descritto Trump e Netanyahu come persone che utilizzano “strategie simili” per gestire le turbolenze interne e internazionali, ma ha osservato che il loro allineamento non si è tradotto in risultati concreti. L’articolo ha suggerito che la politica tariffaria di Trump, che non ha risparmiato alcun alleato importante, evidenziasse un approccio diplomatico transazionale che ha lasciato vulnerabili anche partner stretti come Israele.
Il Washington Post ha fatto eco a questo sentimento, sostenendo che il ritorno di Netanyahu a Washington è avvenuto in un “momento più difficile” rispetto alla sua precedente visita del febbraio 2025. Il giornale ha sottolineato che il rifiuto di Trump di impegnarsi per l’alleggerimento dei dazi, unito alla posizione aggressiva della sua amministrazione su Iran e Siria, ha messo Netanyahu in una posizione precaria. Anche i critici dei media occidentali hanno sollevato preoccupazioni per la mancanza di discussione sui diritti dei palestinesi o sulla soluzione dei due stati, con alcuni che accusano Trump di aver favorito le politiche intransigenti di Netanyahu senza sollecitare l’assunzione di responsabilità.
Il quotidiano ebraico Walla, citando fonti vicine alla delegazione israeliana, si è spinto fino a definire l’incontro tra Netanyahu e Trump come “probabilmente il vertice più fallimentare” tra i due leader. Secondo il rapporto, Netanyahu è tornato a Tel Aviv a mani vuote, non essendo riuscito a ottenere alcun progresso su questioni bilaterali chiave, tra cui l’auspicata riduzione dei dazi commerciali.
Il corrispondente politico Barak Ravid ha descritto la posizione di Netanyahu come “indebolita e umiliata”, osservando che il primo ministro israeliano ha svolto più il ruolo di figura simbolica che di negoziatore attivo. “Ha svolto il ruolo di sfondo per l’agenda più ampia di Trump”, ha osservato Ravid, sottolineando il modo calcolato in cui Trump è sembrato mettere da parte le priorità israeliane a favore di un rinnovato impegno con l’Iran.
Israel Hayom, spesso una pubblicazione allineata a Netanyahu, non ha esitato a riconoscere la tensione e la frustrazione visibili sui volti dei funzionari israeliani durante la visita. Nel frattempo, il Times of Israel ha definito il vertice “profondamente deludente”, soprattutto alla luce dell’apparente apertura di Trump a negoziati diretti con Teheran – una mossa vista da Al-Quds a Gerusalemme come un cambiamento strategico con potenziali conseguenze di vasta portata per gli interessi di sicurezza israeliani.
Le ricadute politiche sono state rapide. New Dimor, portavoce del leader dell’opposizione Yair Lapid, ha offerto una valutazione cruda del viaggio, esortando i media israeliani a riportare la nuda e cruda verità. “Questo è stato uno dei momenti più umilianti per qualsiasi primo ministro israeliano”, ha dichiarato Dimor. “È culminato nell’imbarazzo pubblico di Israele sulla scena internazionale, senza nemmeno la più piccola vittoria diplomatica”.
Ha aggiunto: “Trump ha usato Netanyahu come nient’altro che un elemento decorativo per conferire legittimità simbolica ai prossimi negoziati tra Stati Uniti e Iran”.
I post su X di utenti e personalità dei media israeliani hanno amplificato questa frustrazione, con alcuni che hanno descritto il viaggio come “il più fallimentare di sempre” nella storia delle visite di Netanyahu negli Stati Uniti. Altri hanno sottolineato la “velocità sospetta” della sua partenza, ipotizzando tensioni o disaccordi dietro le quinte con Trump. Gli argomenti di tendenza su X in Israele riflettevano un misto di delusione e cinismo, con molti che si chiedevano se i viaggi internazionali di Netanyahu fossero più legati alla sopravvivenza personale che all’interesse nazionale.
Un fallimento di strategia e sostanza
Con il polverone che si deposita, le implicazioni di questa visita fallita potrebbero estendersi oltre un singolo viaggio o un momentaneo imbarazzo politico. Con le mutevoli dinamiche a Washington e un possibile disgelo nelle relazioni tra Stati Uniti e Iran, Israele potrebbe ritrovarsi sempre più isolato, costretto a rivalutare sia la sua strategia regionale che il suo approccio a Washington.
La visita di Netanyahu a Washington è stata un’occasione persa che ha messo in luce i limiti dell’alleanza Trump-Netanyahu. Lungi dal rafforzare i legami o dal raggiungere risultati concreti, il viaggio si è concluso con una delusione, senza progressi su dazi, ostaggi o questioni strategiche più ampie. I media occidentali hanno criticato l’approccio transazionale di Trump, mentre i media israeliani hanno lamentato l’incapacità di Netanyahu di mantenere i suoi impegni, sollevando interrogativi sulla sua leadership e sulla futura direzione di Israele.
Mentre entrambi i leader affrontano pressioni interne e internazionali, le conseguenze della visita servono da monito sui pericoli di dare priorità alla politica rispetto alla sostanza.
Per ora, il legame speciale tra Stati Uniti e Israele rimane intatto, ma la sua durata dipenderà dalla capacità dei futuri impegni di produrre qualcosa di più di semplice retorica e opportunità fotografiche. Fino ad allora, la brusca e sospetta fine del viaggio di Netanyahu a Washington rimarrà come simbolo di promesse non mantenute e opportunità mancate in una regione già piena di tensione e incertezza.
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Direi che il passaggio chiave che descrive il sentimento di media e politici israeliani è questo:
“Questo è stato uno dei momenti più umilianti per qualsiasi primo ministro israeliano“, ha dichiarato Dimor. “È culminato nell’imbarazzo pubblico di Israele sulla scena internazionale, senza nemmeno la più piccola vittoria diplomatica“.
Si potrebbe essere più che soddisfatti di questo esito.
Ora però ci sarà da capire come si evolverà al situazione in Medio Oriente senza dimenticare che Donald Trump è un ottimo attore e che i media iraniani ovviamente godono dell’apparente botta presa da Netanyahu. Ciò non significa che le cose non possano essere esattamente come vengono dipinte dai media israeliani e anche da quelli occidentali, ma ribadisco che nel frattempo i palestinesi continuano a subire sia a Gaza che in Cisgiordania e anche Libano e Siria restano sotto il tiro della cosiddetta “unica democrazia del Medio Oriente”.