Si sta svolgendo la visita del macellaio di Gaza, al secolo Benjamin Netanyahu, negli USA.
Apprendiamo della cancellazione della conferenza stampa e speriamo che sia, una volta tanto, sintomo di mancata sintonia su qualche questione tra le tante sul tavolo.
Nel frattempo Netanyahu porta in dote l’ennesimo massacro di civili palestinesi e l’uccisione prima di paramedici accorsi a soccorrere i feriti di uno dei tanti bombardamenti sionisti e poi di giornalisti, il numero dei quali diventa sempre più grande.
Condivido la traduzione dell’articolo di Middle East Eye (https://www.middleeasteye.net/news/israel-targets-gaza-journalists-sheltering-tents) nel quale ci raccontano del bombardamento alla tenda dei media che si trova vicino all’ospedale di Khan Yunis.
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Gaza: Israele bombarda la tenda dei media, uccidendo giornalisti e bruciandone altri
Israele attacca la tenda dei giornalisti vicino all’ospedale di Khan Younis senza preavviso
Lunedì le forze israeliane hanno bombardato una tenda che ospitava i giornalisti a Khan Younis, incendiandola e uccidendone due, mentre altri sono rimasti intrappolati tra le fiamme.
L’attacco, che ha preso di mira la tenda vicino all’ospedale Nasser, ha ucciso il giornalista Hilmi al-Faqawi e il cittadino Yousef al-Khazindar, secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa.
Molti altri giornalisti nella tenda sono rimasti feriti, tra cui Ahmed Mansour, Hassan Islayeh, Ahmed al-Agha, Mohammed Fayeq, Abdullah al-Attar, Ihab al-Bardini, Mahmoud Awad, Majed Qudaih e Ali Islayh, alcuni dei quali in condizioni critiche.
Il bombardamento ha colpito direttamente il telefono di Hassan Islayeh, con schegge che hanno ferito lui e diversi giornalisti. Abed Shaat, un giornalista sopravvissuto all’attacco, ha detto a MEE che verso le 3 del mattino, un attacco israeliano ha colpito la tenda dove si sapeva che alloggiavano i giornalisti, senza alcun preavviso.
“Questi giornalisti erano ben noti e questo campo [di sfollati] era ampiamente riconosciuto come un luogo in cui i giornalisti soggiornavano, lavorando per inviare messaggi, dare voce e dipingere un quadro della situazione. Raccontano le lotte e le preoccupazioni delle persone”, ha detto Shaat.
Ha aggiunto che la maggior parte dei suoi colleghi stava dormendo al momento dell’attacco.
Ha descritto le scene come “incredibilmente dure, tristi e dolorose” e ha detto di essersi precipitato verso il suo collega Mansour, uno dei feriti gravi nell’attacco, mentre bruciava vivo.
“Vedere il tuo collega giornalista avvolto dalle fiamme, non credo che tu possa assistere a nulla di più difficile”, ha detto.
Nel suo tentativo di salvare il suo collega giornalista, Shaat ha riportato lievi ustioni alle mani. “Dio abbia pietà di lui, ora sta ricevendo delle cure”. Ha aggiunto che diversi giornalisti stanno ricevendo cure mediche per ferite da lievi a gravi.
In un filmato ampiamente diffuso, Mansour, corrispondente dell’agenzia di stampa locale Palestine Today, viene visto avvolto dalle fiamme mentre i colleghi tentano disperatamente di salvarlo.
Mansour è rimasto in condizioni critiche con ferite potenzialmente letali.
“La tenda era nota a tutti come una tenda per giornalisti, questo conferma che si è trattato di un attacco mirato ai giornalisti”, ha detto Shaat.
“Il nostro messaggio è che continuiamo sul nostro cammino, questo cammino che abbiamo scelto come giornalisti, mentre raccontiamo le lotte delle persone e diamo voce alla nostra gente a Gaza, che sta sopportando una guerra genocida da oltre 15 mesi”.
Cimitero delle notizie
Nel fine settimana, la giornalista palestinese Islam Nasr al-Din Muqadad è stata uccisa insieme a suo figlio dopo che un attacco israeliano ha preso di mira la sua casa a Khan Younis.
Da quando ha iniziato la sua guerra a Gaza nell’ottobre 2023, Israele ha ucciso 210 giornalisti palestinesi. La guerra di Israele a Gaza è stata il “peggior conflitto di sempre” per i giornalisti, secondo un rapporto del Watson Institute for International and Public Affairs.
Il rapporto, intitolato News Graveyards: How Dangers to War Reporters Endanger the World, ha affermato che l’assalto israeliano alla Striscia di Gaza dall’ottobre 2023 ha “ucciso più giornalisti della guerra civile americana, della prima e della seconda guerra mondiale, della guerra di Corea, della guerra del Vietnam (inclusi i conflitti in Cambogia e Laos), delle guerre in Jugoslavia negli anni ’90 e 2000 e della guerra post-11 settembre in Afghanistan, messe insieme”.
“Nel 2023, un giornalista o un operatore dei media è stato, in media, ucciso o assassinato ogni quattro giorni. Nel 2024, è stato una volta ogni tre giorni”, ha affermato il rapporto.
“La maggior parte dei giornalisti feriti o uccisi, come nel caso di Gaza, sono giornalisti locali”. Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) ha dichiarato a febbraio che nel 2024 è stato ucciso un numero record di giornalisti in tutto il mondo, con Israele responsabile di quasi il 70 percento delle morti. Il CPJ ha accusato Israele di aver tentato di soffocare le indagini sugli incidenti, di scaricare la colpa sui giornalisti e di ignorare il suo dovere di ritenere le persone responsabili delle uccisioni.
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A noi il dovere di non far finta di nulla.
Proprio per questo segnalo con piacere il report di Rainews dai territori occupati – ora non lo trovo online – nel quale si racconta la situazione parlando sia con i palestinesi che subiscono l’apartheid degli occupanti che coi coloni israeliani.
Di particolare interesse è la chiacchierata con un colono giovane, ma già padre di famiglia, che ci ricorda perché con questa gente è impossibile trattare.
Loro affermano di essere gli unici che hanno diritto a vivere in quei territori perché lo dicono i loro testi sacri. E quando la giornalista chiede di dire qualcosa per i palestinesi che vengono costretti ad abbandonare la loro terra e le loro case il tizio dice che non gliene frega niente.
A quelli che parlano ancora oggi di due stati per due popoli dico solo che o non hanno capito niente o sono complici dei sionisti ben sapendo che proprio loro non vogliono e non vorranno mai concedere nulla ai palestinesi.
L’unica via è quella dell’embargo totale, niente merci verso e da Israele.
Gli USA sono il maggior fornitore di armi a Israele e se solo chiudessero i rubinetti i sionisti sarebbero costretti a fermarsi. Ma ciò non avviene e non avverrà nemmeno col “pacifista” Trump.