Quattro anni fa, il 3 gennaio 2020, in Iraq fu ucciso in un attentato made in USA il generale iraniano dei Pasdaran Qasem Soleimani.
Di quell’omicidio si sente l’eco ancora oggi poiché parliamo di un elemento di altissimo livello nelle gerarchie militari iraniane nonché d un possibile candidato premier che però pare avesse declinato l’invito dell’ayatollah Ali Khamenei a presentarsi alle elezioni politiche del suo paese.
Il successivo funerale raccolse più di un milione di iraniani a testimonianza di quanto fosse amato Soleimani.
Oggi però non parliamo di quell’omicidio, bensì di quel che accadde nei giorni successivi in Iraq con il primo ministro di allora che spergiurò che avrebbe cacciato gli americani dal suo paese.
Ebbene, dopo quattro anni siamo ancora qui, con gli USA che mantengono più di 2.500 soldati sul suolo iracheno e ammazzano coi loro droni chiumnque individuino come potenziale nemico.
In questi giorni è stata la volta di Mushtaq Jawad Kazim al-Jawari, ma anche di altri meno noti. E si rinnova la promessa-minaccia irachena di cacciare gli americani. Americani che restano ben saldi in Iraq e Siria con la scusa della lotta all’Isis, ovvero a quei terroristi che hanno contribuito a creare insieme con gli amici (loro) britannici.
Di questo parla il primo articolo di Middle East Eye che segnalo oggi: https://www.middleeasteye.net/news/iraq-prepares-end-us-coalition-after-drone-strike-kills-commander.
Detto dell’arrogante tracotanza made in USA passiamo ai loro degni compagni di merende sionisti.
Sempre su Middle East Eye si riferisce di colloqui che sarebbero intercorsi tra Israele, Chad e Rwanda (https://www.middleeasteye.net/news/war-gaza-israel-talks-rwanda-and-chad-receive-exiled-palestinians) per risolvere la questioe dei palestinesi di Gaza. Laddove per soluzione si intende la deportazione di circa due milioni di persone in territorio straniero.
Per i due paesi ci sarebbe la promessa di fornire aiuti e armi da parte di Tel Aviv. Un po’ come si vociferava avessero provato a fare con l’Egitto settimane fa.
Tra l’altro circola anche il nome del Congo tra le possibili mete scelte da Netanyahu e gli altri macellai suoi sodali.
Perfino gli USA hanno, almeno a parole, rigettato la suggestione portata avanti davanti i ai microfoni della tivvù israeliana e in parlamento dai ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir di deportare i palestinesi di Gaza.
Ormai il gioco è noto sia da parte israeliana che statunitense. Un gioco che però non funziona più.
Si tratta solo di capire quando quel resto del mondo, che fa più o meno 7/8 del totale degli abitanti della Terra, si solleverà spazzando via entrambi i bulli.
Immaginate cosa potrebbe accadere se ancora oggi l’Italia si dichiarasse neutrale e interrompesse immediatamente ogni collaborazione militare e commerciale con USA e Israele.
Forse si potrebbe far partire un domino che potrebbe anche avere la forza di evitare una guerra aperta, la quale francamente sembra essere sempre più inevitabile, anche se non possiamo sapere quando esploderà.
La diplomazia però può ancora vincere. Quello che manca è il coraggio.