Due suggerimenti di lettura da Middle East Eye.
Il primo è un articolo che racconta la vicenda di Stephen Kapos, un sopravvissuto all’Olocausto che ha militato nel Partito Laburista inglese per lungo tempo e ora sarà espulso per non aver ubbidito agli ordini dei vertici.
Nel secondo invece ricordiamo la vicenda di Khader Adnan, deceduto alcuni giorni fa a seguito di uno sciopero della fame contro la detenzione nelle prigioni israeliane il cui corpo non è ancora stato restituito alla famiglia.

La storia di Stephen Kapos è una delle tante di quel tempo in cui gli ebrei furono perseguitati e sterminati in massa dai nazisti e dai loro alleati.
Ne “Il sopravvissuto all’Olocausto che non può più chiamare casa i laburisti” si parla però di attualità e della sua di fatto espulsione dal Labour Party inglese. La sua colpa è non aver accettato di raccontare del presunto antisemistismo nel partito ai tempi di Jeremy Corbin. Antisemitismo della cui esistenza lui non ha mai avuto nemmeno la minima sensazione. L’ultimo atto è stato il divieto posto nei confronti di un suo intervento a un evento pubblico nel quale avrebbe dovuto raccontare la sua personale storia di perseguitato.
In questo articolo emerge la figura dell’attuale segretario del Labour Party, Keir Rodney Starmer, che il protagonista dipinge così nella sua affermazione di fine articolo:
Si lascia vendere alla nazione come noioso ma dignitoso. Un uomo pieno di integrità. In realtà lui è l’esatto opposto. È autoritario e ha distrutto la democrazia nel partito laburista. Ma probabilmente sarà primo ministro. Dio ci aiuti.
Un articolo che ci ricorda come l’antisemitismo sia usato da molti leader distrocendone il senso profondo.

Qui l’articolo: https://www.middleeasteye.net/news/labour-holocaust-survivor-no-longer-can-call-home.

Ataf Elayan e Azhar Abu Srour

In “L’attivista palestinese promette di continuare il sit-in chiedendo il rilascio del corpo di Khader Adnan” si racconta degli 11 giorni di sit-in dell’attivista palestinese Ataf Elayan di fronte al Comitato Internazionale della Croce Rossa nella Cisgiordania occupata che chiede la restituzione del corpo di Khader Adnan, morto in prigione all’inizio del mese dopo 86 giorni di sciopero della fame.
Anche Elayan è stata prigioniera nelle carceri israeliane – nel 1987 fu condannata a 15 anni di reclusione e ne scontò 10 dando vita al suo primo sciopero della fame e ricorda che “Mi hanno strappato l’hijab e i vestiti, e hanno minacciato di violentarmi. Mi hanno messo in una cella sporca e mi hanno trattato come un animale. Non ho trovato modo di oppormi se non facendo lo sciopero della fame, uno strumento che ho usato decine di volte in seguito per protestare contro molte violazioni israeliane” – e pone la questione del recupero dei corpi di coloro che muoiono in queste circostanze o vengono uccisi dall’esercito israeliano.
Sono 132 i corpi di persone morte in carcere non restituiti dal 2015 che si aggiungono ai 256 di coloro che sono stati uccisi nelle operazioni di polizia nei territori.
Come si ricorda nell’articolo:
Le famiglie affrontano lunghe battaglie legali per il rilascio dei corpi dei loro cari. Nella migliore delle ipotesi, i corpi vengono consegnati a mezzanotte in una data di rilascio concordata, a condizione che i funerali siano silenziosi e a cui partecipino non più di poche decine di persone in lutto.
Azhar Abu Srour, madre di un ragazzo ucciso dagli israeliani nel 2016 è con Elayan perché vuole il corpo di suo figlio per poter portrare dei fiori sulla sua tomba. E ricorda che “Questo è il diritto più semplice per ogni madre che ha perso il figlio. Perché ci torturano e ci uccidono mille volte al giorno?
Bella domanda!
Nei territori palestinesi occupati dai nazisti israeliani le madri spesso non possono nemmeno piangere i propri figli.

Qui l’articolo: https://www.middleeasteye.net/news/israel-palestine-activist-hunger-strike-demand-release-body-khader-adnan.

Si spera come sempre di suscitare riflessioni in coloro che leggono perché queste due storie in realtà rappresentano la quotidianità per milioni di persone sparse nel mondo. Essere censurati perché si mantiene la schiena dritta di fronte al potere e all’arroganza dei capi bastone di partito. Essere madri e non poter deporre un fiore sulla tomba del proprio figlio.

E noi vorremmo vivere in pace? Con chi? La strada è ancora lunga.

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