Lasciate decantare le discussioni sui viaggi in Algeria e Libia del Presidente del Consiglio, del suo entourage e di ENI, vediamo se sia corretto dire che l’Italia sia sulla strada per diventare il nuovo hub del gas europeo.
Partiamo dall’Algeria dove la premier si è recata il 22 e 23 gennaio 2023 (https://www.governo.it/it/articolo/il-presidente-meloni-algeria/21567).
Il Paese africano sarebbe stato scelto come quello che ci dovrebbe permettere di recuperare almeno metà del gas che non riceveremo più – direttamente, perché già ora da buone aquile lo acquistiamo sottoforma di GNL da paesi che lo acquistano da Mosca e che ovviamente ci fanno pagare di più – dalla Russia.
A conti fatti però dei circa 30 miliardi di metri cubi che un tempo erano garantiti, a prezzi stracciati, da Mosca i 15 miliardi che dovrebbe fornirci l’Algeria sono solo un miraggio.
Se andrà di lusso tra qualche anno arriveremo alla metà della quota sperata… Se andrà bene.
Perché dico questo? Ora vediamo.
Prima però c’è da chiarire un malinteso che aveva portato anche me a dire erroneamente che Sonatrach, l’azienda di stato algerina fosse partecipata al 49% da Gazprom, l’azienda di stato russa.
La percetnuale è vera, ma la partecipazione è in zone di giacimenti per le quali le due aziende hanno stipulato accordi (https://energiaoltre.it/petrolio-gazprom-e-sonatrach-lavorano-a-nuove-estrazioni-in-algeria/).
Cambia poco però se pensiamo che ci raccontano di come si debba isolare la Russia e quindi non farle arrivare fondi.
Collaborare con Sonatrach significa finanziare anche Mosca, seppur indirettamente.
Detto questo il grande problema sta nel rischio concreto che l’Italia si ritrovi a breve con un pugno di mosche in mano come si evince dalla sempre attenta analisi di Manlio Dinucci per Pangea Grandangolo.
Negli USA infatti si sta discutendo di possibili sanzioni verso l’Algeria poiché imputata di acquistare armi da Mosca.
Immaginare le conseguenze qualora dovesse prendere piede questa iniziativa – quanto pensate ci voglia a far tramutare in risoluzione ONU i desiderata di Washington? – non dovrebbe essere difficile.
Ad ogni modo il passo andava fatto per cui nessun rimprovero al Governo in carica che prosegue quanto avviato dal precedente in Algeria.
Discorso differente per la Libia, dove peraltro proprio una risoluzione ONU, la 2362 del 2017 (https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N17/191/32/PDF/N1719132.pdf?OpenElement) pone dei limiti in materia di accordi commerciali che potrebbero vanificare ogni sforzo in tal senso.
Il Presidente del Consiglio ha visitato Tripoli il 28 gennaio 2023 (https://www.governo.it/it/articolo/il-presidente-meloni-libia/21613) con una delegazione della quale facevano parte anche il Ministro degli Esteri e l’Amministratore Delegato di ENI.
Anche qui si sono firmati accordi commerciali per la cifra di 8 miliardi (4 miliardi per parte in un accordo di partnership al 50%).
Il comunicato di ENI (https://www.eni.com/en-IT/media/press-release/2023/01/eni-launches-a-major-gas-development-project-in-libya.html) parla di un plateau di 750 milioni di metri cubi di gas al giorno raggiungibile nel 2026 – attenzione alla data perché abbiamo 3 anni da superare el frattempo.
Sul plateau la pensa in modo diverso Middle East Eye (https://www.middleeasteye.net/news/libya-italy-energy-deal-criticised-pomp-ceremony) che parla di 21 milioni di metri cubi.
Direi che questa è la cifra corretta in quanto porterebbe a quota 7,665 miliardi di metri cubi l’anno.
Ma nell’articolo si sottolineano altre criticità, peraltro portate alla luce anche dal nostro regista Michelangelo Severgnini in un suo reportage proprio dalla Libia (cercateolo su Telegram per avere notizie da un Paese che conosce piuttosto bene), riguardo il fatto che quello di Tripoli, seppur riconosciuto dalla “Comunità internazionale” – le virgolette sono d’obbligo quando si parla di una rappresentanna ampiamente al di sotto del 50% della popolazione mondiale, ma noi abbiamo questo vizio di vederci come il centro del mondo – non sia il vero governo del Paese africano.
Sappiamo che dovrebbero celebrarsi elezioni, presto o tardi, ma ora a Bengasi c’è un altro governo che pare avere una legittimazione reale e nell’articolo si ricorda come il Ministro dell’Energia libico sia l’unico autorizzato a stipulare accordi di questo tipo, e ovviamente sta a Bengasi.
Sappiamo inoltre he il generale Khalifa Belqasim Haftar, vero referente/garante di quel governo, ha dato forfait al previsto incontro con Meloni e compagni, e non è dato sapere se ci sarà uan seconda occasione.
Gira anche una vocina, raccolta sempre da Severgnini, secondo la quale l’accordo Libia-Italia sarebbe in realtà un modo per mascherare un finanziamento militare per prossime scaramucce tra le opposte fazioni con vista sullo sfruttamento dei giacimenti. Ma queste sono malelingue e noi non ci crediamo.
Resta il fatto che la situazione è delicata e il tempo perso dal nostro Paese mentre Turchia e soprattutto Cina e Russia si installavano in queste zone potrebbe risultare già fatale. Ma si sa che gli affari sono affari per cui non disperiamo.
Ultima cosa sulla infelice citazione di un “Piano Mattei” per l’Africa fatta dalla premier. Sono certo che il buon Mattei abbia fatto piroette e salti mortali nella tomba e non di gioia.
Non aggiungo altro per carità di patria.
Ci sarebbe poi da parlare di rigassifcatori e raddoppio del TAP, ma vedremo di farlo in seguito.
Già che ci sono ricordo che per molti anni ci si è chiesti se Mosca ci avrebbe ricattato col gas (si veda questo articolo di Limes del 2006: https://www.limesonline.com/cartaceo/cucinare-con-gazprom).
Per la cronaca non lo hanno mai fatto.