Riporto il testo della missiva inviata pochi minuti fa al Presidente del Consiglio. Spero che la legga e prenda coscienza della sua grave situazione.
Alla cortese attenzione
Illustrissimo signor Presidente del Consiglio,
Stimatissimo Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio,
Caro Matteo,
permetta l’incipit colloquiale. In fin dei conti chi le scrive è suo coetaneo e dato che siamo entrambi figli degli anni settanta ho a cuore il suo destino.
Sono a scriverle a distanza di mesi dall’ultima mia missiva – ricorda quelle lettere riguardo la necessità di eliminare l’abominevole pareggio di bilancio dalla Costituzione? – per esplicitarle la mia più sentita e sincera preoccupazione. Sì, sono realmente preoccupato per lei.
Ho registrato le sue dichiarazioni di ieri, 1 ottobre, con stupore e angoscia.
Ma voglio spiegarle al meglio e quindi andrò con ordine se avrà voglia e tempo di leggere quanto ho da esporle.
Iniziamo dal dicembre 2015 e gennaio 2016, tempo in cui ho conosciuto la personalità, presumo dominante, ma non ne sono certo, del Presidente del Consiglio. Era il 29 dicembre (https://www.youtube.com/watch?v=mgSzlefr7lc) quando lei rilasciava a Repubblica TV una delle prime dichiarazioni su ciò che avrebbe fatto in caso di vittoria del NO al prossimo referendum.
Trascorsero poi 8 mesi nei quali lei continuò a ribadire ciò che avrebbe fatto in determinate circostanze.
Per dare corpo a quanto detto ho scelto il suo discorso al Senato del 20 gennaio 2016, allorquando intervenne poco prima che Palazzo Madama confermasse in via definitiva il testo di riforma della Costituzione.
Ecco le sue parole:
“Chi ci accusa oggi di plebiscito è lo stesso che ieri ci accusava di autoreferenzialità, in una curiosa alternanza di accuse mosse più da un risentimento personale e politico che non da un giudizio oggettivo sulla realtà.
Ma ci deve essere una presa di responsabilità totale e globale.
Ho personalmente affermato davanti alla stampa, e lo ribadisco qui davanti alle senatrici e ai senatori, che nel caso in cui perdessi il referendum, considererei conclusa la mia esperienza politica.
L’ho fatto perché credo profondamente in un valore: la dignità del proprio impegno nella cosa pubblica.
Penso a quando qualcuno, in questo dibattito, ha scomodato il personalismo, ignorando che c’è una grande distinzione tra il personalismo e la personalizzazione (lasciatevelo dire da chi è cresciuto con Maritain, con Mounier, con il pensiero del personalismo comunitario: non è che perché uno ha Twitter allora ha dimenticato i punti di riferimento, i padri nobili del pensiero da cui proviene).
Ma il punto chiave di questa discussione oggi non è la personalizzazione esasperata, non è il tentativo di trasformare un referendum in un plebiscito; è recuperare quel filo di credibilità della persona e dell’impegno pubblico.
Com’è possibile immaginare, dopo una cavalcata così emozionante e straordinaria, unica in settant’anni, di poter andare ad un referendum su quella che è la madre di tutte le riforme e di non trarne le eventuali conseguenze, qualora non vi fosse un voto positivo?
Com’è possibile non prendere atto che è terminata la stagione dell’impegno politico fatto a prescindere dal consenso dei cittadini?
Com’è possibile immaginare che, in un momento come quello che noi stiamo vivendo, non possiamo provare a rendere palese ed evidente la grandezza della sfida di fronte alla quale ci troviamo?”
Bene, nei successivi 8 mesi lei ha ripetuto questa litania come un mantra ed io ho inziato a credere che, comunque la si volesse pensare, le si dovesse dare atto di aver semplicemente inquadrato la questione. Se sono stato nominato dal Presidente della Repubblica per portare a termine, tra le altre, anche la fondamentale riforma della Costituzione è giusto che io me ne vada qualora fallissi e il popolo votasse contro.
Anzi lei ha detto di più affermando avrebbe smesso di fare politica. Una sorta di déjà vu del suo “Se non cambio Firenze cambio mestiere” che campeggia anche nella sua biografia sul sito del Governo. In una parola coerente con la sua storia politica personale. Chapeau!
Poi però è accaduto qualcosa e dal 21 agosto 2016, seppur a onor del vero ci fossero già stati molti spifferi su un cambio di vedute, abbiamo ascoltato la lapidaria frase: “Si vota nel 2018” seguita da “Non ho mai personalizzato il referendum. Lo fanno quelli del NO”
Le confesso che ho riflettuto molto su questa manifestazione di una sua seconda personalità, del tutto differente rispetto a quella che aveva dominato gli 8 mesi precedenti.
Poi però ho pensato che in fondo si può anche cambiare idea. Certo, magari non con una giravolta completa, ma la si poteva anche lasciar passare.
Siamo arrivati fino al 30 settembre 2016 e anche in occasione del confronto TV con Gustavo Zagrebelsky lei ha ribadito più volte di non aver mai voluto personalizzare il referendum.
Poi però è arrivata la doccia gelata che ha fatto scattare in me un campanello d’allarme riguardo il suo stato di salute mentale.
Ieri Giorgio Napolitano ha detto che “l’impostazione precedente della campagna referendaria è durata per un periodo troppo lungo e ha facilitato chi diceva, fregandosene della riforma, che bisognava votare contro Renzi. Ma ora sono state fatte delle correzioni”.
E lei cosa fa? Lei dice:
“Oggi Napolitano mi ha anche un po’ criticato, ma è bello, giusto e utile ricevere critiche da chi ha saggezza e esperienza – già Napolitano ha esperienza, Zagrebelsky è un grigio professore parruccone, vero?  – Se Napolitano con la sua saggezza e capacità mi ha fatto delle critiche sono felice di farne tesoro.
E’ vero io ho sbagliato a giocare il futuro del governo sulla riforma costituzionale ma ho sbagliato in buona fede.
Ho sbagliato ma capita a chi fa le cose.”
Professione di umiltà da rimarcare, ma ritrovarsi in poco più di nove mesi di fronte a tre personalità differenti manifestatesi nello stesso individuo inquieta.
Siamo passati dall’uomo deciso a giocare il tutto per tutto, a quello che rinnega di aver mai voluto giocare il tutto per tutto, al penitente che ammette di aver fatto un errore a dire di volersi giocare il tutto per tutto.
In psicanalisi questo tipo di comportamento viene classificato come schizofrenia.
Resta da capire da quale tipo di schizofrenia lei sia affetto, ma tant’è.
Capisce bene che a questo punto io mi sia posto delle domande e abbia individuato comunque una possibile risposta alternativa.
Nel qual caso lei potrebbe aver fatto tutto ciò in buona fede – perché la malafede la lascio ai malpensanti – e quindi per il bene del Paese è doveroso chiedersi se un Presidente del Consiglio che solo dopo ben 9 mesi ammette un errore possa continuare il suo percorso e non debba essere fermato immediatamente.
Immagini cosa accadrebbe se a distanza di mesi, se non anni, si accorgesse di aver fatto un errore con il Jobs Act, con il Salva Banche o con altri provvedimenti a venire (per esempio l’APE).
Per non aprire il capitolo delle decisioni prese in ambito internazionale.
Sarebbe un bel danno, o no?
E’ però mai opinione che la spiegazione sia un’altra e che sia rintracciabile nella patologia di cui le accennavo sopra.
Temo quindi che siamo di fronte ad una urgenza esiziale per lei, ma anche per il nostro Paese.
Innanzi tutto lei dovrebbe essere preso in cura da uno specialista che la assista nel difficile percorso di recupero, sempre che sia possibile venir fuori da una situazione nella quale convivono all’interno dello stesso individuo tre personalità differenti.
E non sia mai che ce ne siano altre nascoste che attendono di venire alla luce. Mancano due mesi al voto referendario per cui mi permetto di manifestare timori in tal senso.
Esistono casi clinici che hanno fatto registrare la presenza anche di cinque personalità differenti.
I tempi di recupero sono davvero lunghi per cui le consiglio di affrettarsi prima che sia troppo tardi.
Va da sé che per il bene del Paese sono urgenti le sue dimissioni e il suo totale, completo abbandono della politica.
Un po’ come disse lei il 20 gennaio al Senato:
“Nel caso in cui perdessi il referendum, considererei conclusa la mia esperienza politica”
Se ha bisogno di qualsiasi cosa, un consiglio, una voce amica con cui aprirsi, una spalla su cui piangere io sono qui.
Con affetto,
Mauro
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