Il 2 agosto è stato definitivamente approvato il ddl 2290 sulla donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi; i voti a favore sono stati 181, due i contrari e 16 le astensioni.
Un provvedimento approvato quindi a larghissima maggioranza e salutato col solito entusiasmo dal premier (Basta spreco alimentare. Il Senato approva una legge di grande portata etica ed economica).
Peccato che, come di consueto, sia sufficiente andare a leggere il testo della legge per capire come non sia stato fatto sostanzialmente nulla di concreto.
Sono state messe in fila una serie di prescrizioni per la grande distribuzione, la ristorazione e tutte quelle realtà che gestiscono grandi quantità di cibo e medicinali.
Alla fine c’è anche la caramella del possibile, e sottolineo possibile, ma non certo incentivo.
Articolo 17 (Riduzione della tariffa relativa alla tassa sui rifiuti), che messo così sembra bello.
Il testo recita :
1. All’articolo 1, comma 652, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Alle utenze non domestiche relative ad attività commerciali, industriali, professionali e produttive in genere, che producono o distribuiscono beni alimentari, e che a titolo gratuito cedono, direttamente o indirettamente, tali beni alimentari agli indigenti e alle persone in maggiori condizioni di bisogno ovvero per l’alimentazione animale, il comune può applicare un coefficiente di riduzione della tariffa proporzionale alla quantità, debitamente certificata, dei beni e dei prodotti ritirati dalla vendita e oggetto di donazione».
Ora, ci sarà da vedere se il soggetto che decide di donare avrà voglia, tempo e risorse per certificare le proprie donazioni.
Ci sarà poi da capire come questa certificazione potrà essere ritenuta valida dall’amministrazione.
Sai com’è, se fossi un supermarket potrei anche pensare di spacciare per buoni i dati che fornisco io in auto-certificazione e vedere di fare la cresta sull’eventuale riduzione della tariffa.
Nella legge non si da contezza di alcun metodo di certificazione valido. Evviva il Fai-da-Te!
Quindi abbiamo le prescrizioni virtuose da seguire e abbiamo anche la caramella delle eventuali riduzioni tariffarie della tassa sui rifiuti. Ma cosa vogliamo di più dalla vita?
Anzi, le associazioni come il Banco Alimentare ci spiegano che rispetto alla legge francese, con la quale si è posto il confronto vista la vicinanza dei tempi di approvazione e la sostanziale differenza di impostazione, la nostra è più bella perché non obbliga a donare, ma, come dire, suggerisce che sia cosa buona e giusta.
E poi così queste associazioni possono gestire al meglio il flusso di cibo in arrivo dalle donazioni.
Se al contrario ci fossero degli obblighi di legge, come prevede la severa normativa francese, le associazioni rischierebbero di vedersi arrivare addosso uno tsunami di cibo che potrebbero non essere in grado di gestire.
Certo che se si approva una sorta di Legge-Amica nella quale non si prevedono sanzioni per chi non le ottempera in un Paese nel quale i cittadini sono educati al non rispetto dubito che si vedranno risultati apprezzabili nel medio e lungo termine.
In ogni caso il fatto è che comunque la si voglia girare, ovvero sia nel modo più autoritario alla francese (della serie “O lo fai o ti becchi multe fino a 75.000 euro e perfino due anni di carcere”) che nel modo soft all’italiana (“Io ti suggerisco, ti indico, ti invito, ma se non lo fai fa niente”), in entrambi i casi non si centra l’obiettivo primario della lotta allo spreco.
Non si va infatti a monte della questione. Se ho bisogno 80 kg di cibo, ma produco 100 kg, creerò con tutta evidenza 20 kg di sur plus che andranno sprecati a meno di non riuscire a recuperarli. Il nostro problema è che abbiamo creato un sistema di consumo che genera spreco e uscire da questo cul-de-sac è impresa ardua. Ma se nemmeno inizi il percorso la questione diventa insuperabile.
Ad oggi è dato di sapere che (fonte: Il Post dall’archivio del Corriere della Sera):
In Italia gli sprechi alimentari legati alla grande distribuzione sono in diminuzione, grazie ad alcune iniziative di recupero promosse dai supermercati e da associazioni come ad esempio la Onlus Banco Alimentare (vicina al movimento cattolico Comunione e Liberazione) o Last Minute Market. Nel 2014 Banco Alimentare ha recuperato dal settore della grande distribuzione oltre quattromila tonnellate di cibo, ridistribuite a migliaia di organizzazioni di beneficenza in Italia. Il Corriere della Sera nel 2013 aveva scritto sul cibo invenduto nei supermercati: «L’81% viene indirizzato a enti di smaltimento per concimare il terreno o produrre energia. L’11% viene venduto ad aziende che lo utilizzano per l’alimentazione animale o la produzione di mangimi. Il 10% viene invece viene conferito a food bank o enti caritativi (6,4%) o venduto in mercati secondari (1,1%).
Si stima che si potrebbero sfamare 600.000 indigenti con tutto il cibo in esubero per cui varrebbe la pena di strutturare un sistema che permetta il pieno recupero e il raggiungimento di un sostanziale Spreco-Zero.
A me francamente pare che questa legge non porti nella direzione giusta sia per l’annullamento dello spreco, che non può essere raggiunto senza stabilire sanzioni per chi non ottempera alle prescrizioni di legge, sia soprattutto per intraprendere un serio percorso di educazione al Non-Spreco.
Noto che se ne parla tanto come accaduto con la farsa di Expo che doveva essere proprio incentrato su queste tematiche, ma alla fine questo Governo e il Parlamento giocano a produrre leggi in quantità industriale senza risolvere alcun problema.
Peccato, ennesima occasione sprecata.
Segnalo anche un interessante sondaggio di Waste Watch nel quale si evince che non siamo granché informati.
Da prendere sempre con le pinze soprattutto perché nelle note metodologiche non vi è traccia del bacino di persone contattate e che hanno risposto, ma qualche spunto di riflessione c’è.
Un dato su tutti fa gelare il sangue a chi ha chiaro cosa significhi sprecare risorse.
Per chi ancora non lo sapesse per produrre un solo kg di carne bovina occorrono 16.000 litri di acqua.
Discorso lungo che meriterebbe numerosi articoli di approfondimento.
Fate un paio di conti e forse capirete in quale direzione stiamo andando.